Apokopé

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Descrizione

“Apokopḗ” e il suo dialetto
Poesia dialettale: definizione quanto mai generatrice di equivoci. Ebbi la fortuna di frequentare Franco Scataglini nella metà degli anni ’70, quando ero ragazzo. Sulla scorta di un mio rilevamento (la constatazione e l’analisi di uno strano florilegio della poesia dialettale in ogni provincia d’Italia, in quegli anni) sottoposi a Scataglini una tesi: quella “poesia dialettale”, che in sé avrebbe dovuto essere linguaggio del popolo, in verità era vergata, in grandissima parte, da una “classe” in vasta proliferazione: la piccola borghesia semicolta; una “poesia” distorta e assassinata dagli esponenti più decadenti, annoiati e “bovaristi” delle “professioni”, che utilizzavano il dialetto come una sorta di divertissement e,
tutti convinti che quello fosse il linguaggio del popolo (disprezzando, nell’essenza, il popolo), producevano una “poesia” volutamente priva di afflato, spiritualità, universalità, senza ambizione poetica, dunque senza metafora, metonimia, sined- doche. Con un linguaggio povero, rozzo e “volgare” (nella modalità spregiativa che la borghesia ha sempre utilizzato per il volgo), che era quello che la piccola borghesia “poetica” attribuiva al popolo. Scataglini, naturalmente – poiché da tempo e ben prima di me era giunto allo stesso punto analitico – “approvò” la mia tesi. Essendo innamorato dell’infinita musicalità del dialetto e della sua potenza evocativa e avendo, tuttavia, appurato a quale degenerazione un suo utilizzo sbagliato, equivoco e ambiguo potesse portare, seppi sin da subito – coadiuvato da Scataglini e dalle letture innamorate di Pierpaolo Pasolini nella sua ferrigna e risplendente poesia friulana, di Biagio Marin, Franco Loi, Mario Brasu, poeta-pastore sardo, nelle sue liriche contro la guerra e contro l’occupazione della sua Isola da parte della Basi militari Nato, Ignazio Butitta nella sua poesia siciliana di arance, antifascismo e lotte contadine – che cosa fare: utilizzare il dialetto come una lingua alta, come un diverso strumento linguistico dalla lingua italiana, un diverso congegno da essa ma dalle stesse potenzialità estetiche ed evocative. La stessa scelta di uno strumento – dialetto o lingua italiana – che un musicista opera tra il violino e il pianoforte, tra la chitarra e l’oboe. Il dialetto come un utensile per il più alto livello poetico possibile, non come un recinto ideologico-estetico ove far pascere una brutalità di rime bovine. Il dialetto per il firmamento della poesia, non per una caricatura efferata del popolo. Col tempo, per farmi largo nell’incomprensione, tentai di rafforzare, raffinare sempre più la mia argomentazione, giungendo ad affermare che la poesia tout court, essendo una rottura col linguaggio quotidiano, è già di per sé, nel suo determinarsi, un “linguaggio dialettale”. Una forzatura, certamente; ma come cantava Fabrizio De André, un assunto, se non del tutto vero, quasi per niente sbagliato.

Scheda Tecnica
Autore
Fosco Giannini
Pagine
150
ISBN
9791281388239
Lingua
Italiano
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